Per i designer emergenti trovare nuovi e rispettosi modi di produrre e progettare, non è solo un obiettivo, ma il punto di partenza. Lo hanno dimostrato gli under 35 che hanno partecipato all’ultima edizione del SaloneSatellite con entusiasmo e già tanta professionalità.
La ricerca che accomuna i più è senz’altro la riduzione dell’impatto ambientale e l’ottimizzazione delle fasi produttive che porta alla creazione di materiali inediti, leggeri e facilmente lavorabili. Derivati, per esempio, da fanghi e sedimenti marini (Gwilen) che si accumulano nei porti. O da canapa (Romy Design Studio) e alghe (Felix Pöttinger), che sono naturalmente biodegradabili. O, ancora, da composti organici come la caseina, i fondi di caffè o le fibre del banano (vedi, rispettivamente, i premiati: Philippe Hainke, Kristen Wang e Studiomirei, cui si aggiunge Kae). Su questi presupposti è stato presentato anche un vero e proprio “Manifesto del bio-design italiano” (Pensiero Materia di Luca Alessandrini e Henry & Co.) ai cui principi rispondono alcuni oggetti provenienti dal recupero di scarti legati all’ambito alimentare, oltre ai fondi di caffè, pomodoro, arance e mais. Si tratta di bioplastiche o composti riciclabili al 100%, già realizzati da aziende italiane e che, per via della creatività, diventano la base di utensili da cucina e accessori d’uso quotidiano.
I designer, sempre più “global thinker”, nascondono sottili messaggi nei loro prototipi: otto utili fori per le saliere a forma di trivelle ricordano i milioni di tonnellate di plastica riversati negli oceani (Lalaya Design), innocui decori su piatti di ceramica informano su abitudini e discrepanze alimentari nel mondo (Jonathan Radetz), le forme di un set per la tavola fanno riflettere sui cambiamenti climatici (Cecilia Xinyu Zhang). I principi dell’economia circolare sembrano essere un faro e il riciclo è un’ottima sfida progettuale, a partire dagli indistruttibili tappi delle bottiglie in Pet che, lavorati con altri materiali grezzi, possono creare puntini di colore con effetto “terrazzo” sulle superfici di mobili e complementi d’arredo (Mendel Heit).
E se il tema della ventiduesima edizione, “Food as A Design Object”, è stato ispiratore per tanti progetti, lo è stata anche la concomitanza con Euroluce: numerosissime, infatti, le lampade. Intese come elementi nomadi e autosufficienti (Ilja Huber, Branch), decorativi (Alestalo x Judin x Väre, Susanne De Graef, David Derksen Design, Envee, Shinya Oguchi, Valentina Zuendel) o performanti (Chmara.Rosinke, Daniel Becker Studio, Oto.Berlin).
Altre parole d’ordine sono montaggio intuibile e personalizzato: dai tavoli e librerie perfettamente appiattibili e assemblabili a incastro (Jflemay) ai sistemi modulari, di facile configurazione e assemblaggio, anche per intere cucine (per esempio, Very Simple Studio) e arredi bagno (Kalin Gemignani) fino ai mobili per bambini sviluppati a partire da pochi elementi intercambiabili (Koko), basi di tavoli di diverse altezze costruiti con semplici giunti a X (Hsiang Han Design) e tavoli e panche da costruire a piacimento prelevando i diversi pezzi da un pannello (Ayrton Miranda). O ancora, attraverso un sistema di morse (Amorce Studio).
Infine, l’artigianato. È un’aspirazione quasi per tutti, perché capace sia di ridefinire le tradizioni (Darius Blokker, Francesco Feltrin, Studio Marfa, Shinya Oguchi, Ruixue Song, Saki, Sicong Su), sia di definire mobili che sembrano sculture o vivono di un’estetica complessa, ma pulitissima, grazie alla commistione con il digitale (Atelier QDA, Marino Secco, Joanna Sieradzan, Cyryl Zakrzewski). Così anche vasi (Federico Pazienza, Francesco Forcellini, Sammlug Walter) e lampade fuori dal comune (Anna Strupinskaya, Oleg Soroko, Natrium).
Pur se qui li abbiamo “accorpati” ogni designer esprime la propria personalità, citarli tutti non è possibile, ma per conoscerli o rivederli, basta sfogliare il catalogo che li raccoglie.